domenica 17 aprile 2011

Qui è troppo chiaro per dormire.. 7

Hafthor Jonsen ricondusse Agnes alla sua casa, dove il vecchio Anon Anonsen e la moglie già disperavano di rivedere la loro figlia. Agnes entrò in casa e fu accolta tra le braccia della madre, mentre Anon uscì fuori ed affrontò Ahfthor Jonsen che aspettava in piedi, circondato da molti abitanti del villaggio che si erano riuniti lì per confortare i genitori in attesa.
Anon si rivolse a lui con voce severa: - Mi hai riportato una figlia che credevo perduta nell'incendio del bosco e per questo dovrei esserti grato. Ma con lei ha riportato a me anche la sua innocenza e la purezza della sua veste bianca?
Afthor Jonsen parlò con voce forte - cosa che non era solito fare mai - anche per farsi sentire da tutti quelli che erano presenti. - Ti porto tua figlia a cui ho solo rivolto la parola con il rispetto che le è dovuto. Ti chiedo, se tu vorrai, il permesso per venire qualche volta nella tua casa per parlare ancora con lei.
Anon si avvicinò e lo abbracciò e sciolse un pò della tensione e della paura che aveva accumulato in quella notte.
Quando venne la primavera e la natura si risvegliò in tutta la sua potenza, portando il profumo dei fiori in tutta la valle e i ruscelli divennero impetuosi per il disgelo, Afthor Jonsen chiese Agnes in moglie e in un giorno di sole estivo si sposarono.
Ebbero presto un figlio, Jon, che aveva gli occhi color del mare della madre e i capelli scuri del padre. 
La primavera successiva la pesca non andò molto bene per Afthor Jonsen. Il pesce sembrava aver trovato nuove correnti che lo spingeva lontano dal fiordo e la sua piccola barca non poteva allontanarsi troppo in mare aperto, alla ricerca dei banchi di merluzzi e sgombri. 
E poi quando venne l'estate con le sue giornate lunghe tornò Hrolf con una grande nave. 


7. Continua

mercoledì 30 marzo 2011

Qui è troppo chiaro per dormire.. 6

E così iniziò a correre. Schivò i rami infuocati che cadevano dagli alberi e attraversò il fumo che riempiva i suoi polmoni. A tratti appariva davanti  a lui una figura lontana, una veste bianca che ondeggiava nel buio. In alto i rami delle betulle s'intrecciavano fino a nascondere la luna velata, lasciando il sentiero in un'oscurità quasi completa. 
A poco a poco, oppresso dal silenzio e dall'atmosfera cupa della foresta, Afthor Jonsen iniziò ad essere preso dalla paura. Improvvisamente si fermò ed iniziò a tremare. Il giovane non riusciva più a vedere Agnes, ma sentiva alla sua destra, nel folto degli alberi, un'ombra. 
O la sua mente cominciava a giocargli brutti scherzi oppure qualche creatura del bosco, forse un terribile Troll, lo stava osservando. Proseguì in silenzio e non si accorse neanche che aveva cominciato a piovere, e le gocce cadevano dai rami, bagnando i suoi capelli e le spalle. 
Uscì dal folto degli alberi e davanti a lui c'era adesso un luccichio d'acqua, e dal rumore comprese che sotto di lui c'era il fiordo. Avanzò con cautela per non rischiare di scivolare sul terreno reso viscido dalla pioggia e precipitare giù. 
Pochi metri sotto di lui la vide, per prima cosa vide la sua veste bianca che svolazzava nel vuoto, appesa ad un ramo e poi vide il suoi capelli biondi mossi dal vento e i suoi occhi belli come il mare, ma pieni di paura. 
La luna gettava sulla scena una luce incerta e Afthor Jonsen la chiamò. Pronunciò per la prima volta il suo nome e lei si girò, ed ognuno dei due riconobbe in quell'istante il proprio viso in quello dell'altro. 
Agnes stava muta ed impietrita dal terrore ed Afthor Jonsen inizò a parlarle con tono semplice e le sue parole portarono conforto ad Agnes, che si calmò. 
Il giovane scese lentamente aggrappato ad alcuni rami ed infine riuscì a stringere la mano che Agnes gli aveva teso. Tirò con tutte le sue forze e raggiunsero la radura. Rimasero così distesi per alcuni attimi senza parlare. Si era levato il vento, e le nuvole passavano rapidamente davanti alla luna, così che sottili raggi di luce danzavano tra cespugli sparsi e piccoli arbusti. Anche le cime degli alberi cominciarono a gemere, e il suono era come un canto lontano. 
Afthor Jonsen aiutò Agnes ad alzarsi e le indicò un sentiero attraverso il bosco, che in quel punto sembrava più rado. Nessuno dei due aveva ancora parlato e anzi, la timidezza ed il pudore di entrambi, divideva il loro sguardi. 
Nel frattempo, i gemiti degli alberi si erano fatti più forti e la danza del chiarore lunare ancora più rapida. Un pò alla volta entrambi iniziarono a udire una musica in distanza. 
Era un suono di flauto ed essi, con gran sollievo, si diressero in quella direzione. Proveniva dal fondo di una valletta. Nel mezzo dell'avvallamento c'era un vecchio, con un berretto rosso e un volto grinzoso. Sedeva accanto ad un fuoco di sterpi, aveva infisso nel terreno, ai suoi piedi, una torcia accesa e il suo suono era portato dal vento. I capelli rossicci gli spiovevano sul volto come ruggine su una pietra. 
I due giovani si fermarono al limitare del bosco e stettero ad ascoltare. La musica del flauto finì ed il vecchio iniziò a cantare. La sua voce era profonda, ma nonostante l'aspetto duro del suo volto, il suono che usciva dalla sua bocca esprimeva una dolce nostalgia, quasi uno struggimento. 

Se dal mare non torno, amore, 
forse una sera da lontano
una colomba bianca come neve
sulla finestra si poserà piano.
Alla finestra corri subito, amore
là c'è il mio cuore
per riposare ancora 
tra le tue braccia amore... 



* grazie Astrid

6. continua -

giovedì 17 marzo 2011

Qui è troppo chiaro per dormire.. 5

Era notte, e l'oscurità era calata da tempo. Il cielo era stato tutto il giorno coperto, con uno scroscio di pioggia al mattino. Non si era avuto crepuscolo. Il buio era sceso improvvisamente, come se una tazza scura avesse coperto il mondo. Nella notte c'era minaccia di pioggia, c'era il brivido dell'inverno ormai pieno.

La strada che dovevano percorrere le fanciulle si arrampicava lentamente in vetta a un colle, serpeggiando dentro e fuori fra gli alberi.
Quando giunsero in cima si disposero intorno ad un grande fuoco, circondate da enormi pietre che formavano una sorta di quinta naturale. La luce del fuoco proiettava le ombre delle ragazze sulle rocce e, ad ogni loro movimento, le ombre sembravano danzare tutt'intorno.

Le giovani iniziarono a cantare gli inni e tutti gli abitanti del villaggio si erano disposti all'inizio della collina ad assistere. Afthor Jonsen si era appoggiato ad un albero e ascoltava quelle voci argentine e melodiose che gli davano un gran pace. Era convinto di riuscire a distinguere tra le voci quella di Agnes e chiudendo gli occhi vedeva ancora i suoi occhi chiari.

Uno schianto giunse improvviso. Un fulmine si abbattè sulla radura e la danza delle ombre passò e cominciò la danza del fuoco. Il canto si interruppe e venne sostituito da grida di terrore. Le rosse lingue di fiamma salirono e lambivano le fronde degli alberi e si propagavano, divorando in fretta tutto intorno. La gente del villaggio prese a fuggire verso il basso, prima che la strada alberata fosse investita dal fuoco. Le candide figure di fanciulle fuggirono anche loro prese dalla paura. Gridavano terrorizzate cercando disperate i loro genitori e i loro fratelli maggiori.
Agnes si ritrovò a terra stordita in un angolo di terreno isolato e intatto, ma che rischiava di essere rapidamente circondato dalle fiamme. Gli occhi di Hafthor Jonsen erano fissi su di lei. Agnes d'improvviso si alzò e, lanciato un grido, si slanciò in avanti, in direzione opposta al villaggio verso il folto del bosco. Il fumo si era fatto denso e Hafthor Jonsen la perse di vista. Davanti a lui stava la radura in fiamme. Dietro di lui il sentiero che scendeva al villaggio era ancora libero e alcune persone lo incitarono a fuggire. Non si girò, nè esito. Iniziò a correre verso il punto dove aveva visto sparire Agnes.   

5. continua

mercoledì 2 marzo 2011

Qui è troppo chiaro per dormire.. 4

E così fu. Due anni dopo le navi erano pronte, gli equipaggi erano formati e Hafthor Jonsen era pronto a lasciare il suo fiordo, che era la sua terra e il suo mare, per affrontare il grande oceano e tutte le difficoltà che gli si paravano davanti. Ma Hafthor Jonsen non abbandonava solo la sua casa e la sua vita di pescatore.

Quando il guerriero Hrolf era ripartito ed era arrivata la prima neve dell'autunno, Hafthor Jonsen si era offerto per riparare il tetto della casa di Anon Anonsen per guadagnare un sacco di farina che gli sarebbe stato utile durante l'inverno. Anon Anonsen possedeva alcuni acri di terreno fertile nella valle, quattro vacche bianche e alcune capre, che ne facevano uno degli uomini più rispettati della comunità. Anon aveva anche una figlia di nome Agnes, che aveva lunghi capelli biondi sottili come la seta e grandi occhi chiari. Un giorno che Hafthor Jonsen stava tagliando nell'aia dei grandi tronchi per farne travi nuove per il tetto, vide uscire dal bosco Agnes, che tornava verso casa con le capre ed il fratellino Petter. Quando lei si avviò , egli si tolse il berreto e le rivolse uno sguardo rispettoso ma non insistente. Agnes abbassò gli occhi ed entrò in casa. Hafthor Jonsen era quasi sicuro che il suo passo fosse accellerato e le sue guance fossero arrossite. Continuò il suo lavoro d'ascia. Quello fu il loro primo incontro. Ma lui non lo dimenticò. Nei giorni successivi Hafthor Jonsen si recò di nuovo alla fattoria per continuare la riparazione del tetto, ma non ebbe modo di rivedere quella fanciulla che lo aveva colpito con la sua grazia e con la sua innocente ritrosia. Anon Anonsen pagò il pattuito e Hafthor Jonsen tornò alla sua vita di pescatore. Non era più stagione per tornare in mare aperto e così passava le brevi giornate a fare piccoli lavori, a riparare le reti e a raddrizzare le fiocine.
La sera del solstizio d'inverno Hafthor Jonsen scese al villaggio per partecipare alla festa che ogni anno si svolgeva per invocare il ritorno della luce e per ingraziarsi le divinità della notte. In quella occasione le ragazze indossavano corone adornate di candele accese e sfilavano cantando inni fino alla roccia più alta che sovrastava le case. Sembrava un fiume di luce che saliva verso il cielo e che chiedeva al cielo che riportasse la luce e la vita.
Le ragazze indossavano le vesti bianche più belle che possedevano. Ma oltre a mostrare la loro purezza cercavano più maliziosamente di mettersi in mostra. Era questa infatti un'occasione per trovare marito. Tra le ragazze che partecipavano alla processione quell'anno c'era anche Agnes, la figlia di Anon Anonsen e i suoi occhi, illuminati dalle candele, apparvero subito a Hafthor Jonsen azzurri e puri come l'acqua del suo amato fiordo. Lui li guardò e non riuscì più a staccarsene.


4. continua -

martedì 22 febbraio 2011

Qui è troppo chiaro per dormire.. 3

La storia della nostra famiglia iniziò in modo curioso. Hafthor Jonsen era un pescatore e viveva nei pressi del fiordo di Stafangr, nel sud della Norvegia. Egli era un uomo molto rispettoso della natura e delle divinità del grande e potente mare. Ma Hafthor amava viaggiare e desiderava vedere il vasto mondo. Quello era un periodo in cui tanti norvegesi, svedesi e danesi sfidavano il grigio oceano alla ricerca di nuove terre. Chi spinto dalla curiosità, chi dalla brama di ricchezza, chi dalla smania di avventure. Un giorno che Hafthor era a pesca con la sua piccola barca, si imbattè in un grande pesce all'interno del fiordo. Era enorme e forte e sfuggiva alla sua rete. Hafthor lo seguì, cercò di coglierlo con l'arpione quando il pesce venne in superficie e lo inseguì fuori dal fiordo in mare aperto. Passavano le ore e il pesce fuggiva sempre con astuzia ai tentativi di Hafthor. Alla fine la sua barca si ritrovò troppo vicino a degli scogli e dovette rinunciare alla sua caccia. Deluso e stanco Hafthor girò il timone per tornare verso l'imboccatura del fiordo, quando i suoi occhi videro un pezzo di legno trascinato dalla corrente. Un paio di gabbiani volteggiavano in cielo attirati da qualcosa che luccicava su quella tavola. Hafthor si avvicinò e vide un uomo disteso e all'apparenza morto che stringeva in mano una spada. Lo issò sulla sua barca e capì che era ancora vivo. Lo portò nella sua casa e lo curò. Il naufrago riprese le forze e ringraziò Hafthor per la sua generosità. Gli disse che non avrebbe mai dimenticato ciò che aveva fatto per lui. Il suo nome era Hrolf ed era un guerriero. La sua nave aveva tentato di attraversare l'oceano ma era stata quasi subito colta da una grande tempesta che aveva ucciso tutti i suoi compagni. Hrolf sembrava avere un fuoco dentro che lo agitava e che, appena fu in grado di camminare, lo spingeva a salire in cima agli scogli più alti e a passare ore a fissare il mare. Aveva uno sguardo pieno di coraggio e di sfida. Qualcosa nei suoi occhi ricordava la temerarietà.
Una mattina che Hrolf era lì, come ogni giorno, a riempirsi lo sguardo di mare e le narici di vento, si avvicinò Hafthor che si sedette su una roccia e gli disse: "Io nel mare cerco di che vivere ma so che un giorno partirò e mi lascerò dietro le spalle la quiete del fiordo".
Hrolf continuava a guardere la schiuma delle onde e sembrava non essersi neanche accorto della presenza di Hafthor. Quando ormai sembrava che il silenzio avesse creato un muro tra loro, il guerriero si girò e fissando negli occhi il pescatore rispose: "Noi partiremo presto e attraverseremo il mare color del ferro fino alle Ebridi e da lì scenderemo fino al Canale della Manica e alle ricche terre del sud".

3. continua-

sabato 19 febbraio 2011

Qui è troppo chiaro per dormire.. 2

Sono tornato indietro. All'origine della mia famiglia. In queste terre vaste e silenziose di cui erano pieni i ricordi dei miei antenati. I miei occhi sono accecati dal sole del Mediterraneo, dal riverbero delle pietre bianche e da un mare luminoso, intenso e fermo. Si devono ancora abituare a queste veglie boreali, alla luce che riempie le pareti bianche della mia stanza, disegnando figure mosse dal vento.
Ma ora sono qua. Alla fine della mia vita, dove tutto è cominciato, per cercare di ricostruire il passato.
Lo sento come un dovere, verso quelli della mia stirpe che per primi, due secoli fa, decisero di partire e di avventurarsi verso sud.
Possiedo di loro dei ricordi nitidi, quasi reali. Frutto dei racconti e delle mie fantasie di bambino. Era tale la curiosità, a quei tempi, che non vedevo l'ora che arrivasse una rara giornata di pioggia, nella mia Palermo, per sentire le gesta di quei lontani, giganteschi eroi descritte da mio nonno.
Ricordo per prima cosa i nomi. E' così che si raccontano le storie di famiglia: si parte dai nomi. Genealogie nordiche che con gli anni si sono addolcite nelle vocali dei nomi latini o greci attuali. Nomi che si sono mischiati e trasformati come il colore dei nostri capelli e dei nostri occhi.
Io sono Giovanni, ma mio padre era Guglielmo e mio nonno Tancredi.

2. continua -

venerdì 18 febbraio 2011

Qui è troppo chiaro per dormire..

Troppa luce. Ho sempre pensato che scrivere storie fosse un dono. Per tanti anni questo dono mi è stato precluso. Troppo sole aveva acceso i miei occhi. Troppe persone intorno. Troppe parole e tutte insieme. 
Ma ora c'è quiete. Ora quelle parole mi tornano utili. Vengono su, a poco a poco, come pesci che si affacciano sulla quiete di un lago in cerca di cibo. Si intrecciano come tanti cerchi concentrici che formano nuovi disegni sulla superficie dell'acqua. Vanno colti al volo e fermati, prima che svaniscano via effimeri. 
Sono ormai vecchio e solo. La mia famiglia finirà con me, non sono stato capace di evitarlo. Tutta la mia vita è stata così. Non sono mai riuscito a prevedere gli eventi ed essi hanno quasi sempre avuto il sopravvento su di me. 
Ma non credo che ciò sia male. 
In fondo penso che ciò sia avvenuto perchè ha sempre vinto in me la curiosità e la fantasia. 
Non ho rimpianti e guardo indietro, ai miei anni passati, con un pizzico di nostalgia e un indulgente sorriso. 
Ho sempre pensato che Dio ci punisse con l'infelicità per ciò che non sappiamo immaginare. 

- 1. continua